Nel film, del 2004, “…E alla fine arriva Polly”, di John Hamburg, la vita di un giovane assicuratore, Reuben Feffer, metodico e ossessivo compulsivo sotto svariati punti di vista, viene sconvolta dall’arrivo di Polly Prince, ragazza scapestrata e disordinata che vive solo di emozioni e istanti. I due, tra alti e bassi, cercheranno di instaurare una relazione integrando nella vita di ognuno ciò che non riuscivano ad accettare dell’altro. Lo faranno solo scommettendo e accettando il rischio di mettersi in discussione.
Usando questa metafora cinematografica, potremmo dire che la corsa al Campidoglio è molto simile alla storia dei protagonisti, anche se la prospettiva del titolo andrebbe rovesciata.
Difatti, la Capitale, bella e scapestrata come Polly Prince, aspetta con ansia l’arrivo di un Reuben Feffer, di una persona in grado di mettere ordine, di portare metodo, affrontando i problemi attraverso i più disparati calcoli di rischio, proprio come un assicuratore.
In questa chiave, un ruolo decisivo dovrebbe essere svolto dai partiti di maggioranza al governo, come anche quelli di opposizione.
Infatti, in quello che può sembrare un silenzio assordante, si stanno tessendo legami e alleanze intricate, strategie politiche che esulano dalla semplice scelta del futuro sindaco di Roma. Se da una parte il PD, in attesa delle primarie, sembra ancora fermo, calando nomi dall’alto come se fossimo in una lotteria, l’ultimo della lista è Paolo Berdini, ex assessore all’Urbanistica della giunta Raggi (dimissionario, dopo essersi opposto allo stadio della Roma a Tor di Valle), dall’altra il centro destra ha iniziato a muovere le prime carte.
Non ci riferiamo certo alla scampagnata di Matteo Salvini nella periferia di Centocelle, sfilata propagandistica culminata in un infelice commento rivolto alla sindaca Raggi che mostra ancora una volta lo spessore politico dell’uomo del Carroccio e la mancanza, al momento, di un vero programma. Quel Salvini leader di un partito che in estate aveva riempito la città di cartelloni elettorali, per poi farli sparire già a fine settembre quando iniziava a delinearsi una corsa al Campidoglio alquanto complicata.
Ci riferiamo invece alle strategie che sta seguendo soprattutto Fratelli d’Italia, il partito di Giorgia Meloni che, stando agli ultimi sondaggi, sembrerebbe attestarsi come primo partito della città, vuoi per la storia personale della Meloni ben radicata nella Capitale, vuoi per tutto quel sostrato di destra che cerca punti di riferimento, ma anche di estrema destra che a Roma, da sempre, trova un humus fertile su cui prosperare.
Fratelli d’Italia è pronto a sostenere un nome espresso dalla coalizione del centro destra, Guido Bertolaso in primis, in cambio però di un controllo capillare sia della città che delle decisioni che verranno prese all’interno dell’Assemblea Capitolina. Secondo alcune indiscrezioni, la Meloni vorrebbe conquistare ben 8 presidenti di Municipio su 15, ottenendo così la maggioranza nonché la certezza di disporre di un “city manager” in grado di poter gestire l’enorme flusso di capitali che, a breve, arriveranno nelle casse del Comune di Roma.
Si cercano persone di spessore, con un forte background manageriale, in grado di amministrare ma soprattutto governare, progettare il volto di una città che fatica a tenere il passo con i grandi cambiamenti in atto nelle altre metropoli europee e non solo.
Guido Bertolaso sembrava a un passo dalla nomina ufficiale. L’ex capo della Protezione Civile conoscendo molto bene la città, di cui nel 2008 fu anche commissario straordinario per l’area archeologica di Roma e Ostia, rispondeva ai requisiti espressi sia da Forza Italia sia dalla Lega. Il suo nome venne già proposto nella tornata elettorale del 2016, quando però proprio il partito di Giorgia Meloni pose il veto per dirottare sull’imprenditore Alfio Marchini.
A quante pare anche questa volta FDI sta cercando di virare altrove, per non ritrovarsi forse invischiato in una figura di grande risonanza mediatica e molto vicina a Silvio Berlusconi.
È iniziata a circolare, allora, la voce di un incontro serrato tra le forze di coalizione per candidare il presidente della Croce Rossa, Francesco Rocca. Nome di spicco su cui però pesa un passato adolescenziale alquanto turbolento. Rocca, infatti, venne condannato, appena diciottenne, a tre anni di detenzione, per spaccio di eroina, e anche se la questione è ormai archiviata, questo trascorso potrebbe incidere sulla sua candidatura e dare man forte agli oppositori per minarne la credibilità.
Credibilità che solo una propaganda incentrata sullo sminuire l’avversario potrebbe mettere in dubbio. Rocca, è giusto ribadirlo, presenta un curriculum di tutto rispetto. Romano, laureato in legge, avvocato fino al 2003, è stato in prima linea nella lotta contro la mafia, vivendo per ben cinque anni sotto scorta. Si lanciò poi nel settore sanitario: direttore dell’ospedale Sant’Andrea fino al 2007, ricoprì svariati incarichi, dallo Spallanzani all’Istituto Nazionale Tumori, passando per Napoli come Commissario straordinario dell’ASL Napoli 2.
Attualmente ricopre l’incarico di Presidente nazionale della Croce Rossa Italiana e anche quello di Presidente della Federazione Internazionale delle Società di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
Sarà dunque Rocca il possibile Reuben Feffer della situazione?
Sembra difficile. Lo stesso Rocca ha declinato l’invito, dichiarando di essere impegnato nella lotta al Coronavirus, e di non aver ricevuto nessuna comunicazione dai diretti interessati. Così la palla, come in una partita di flipper, è rimbalzata nuovamente su Guido Bertolaso; Giorgia Meloni deve rimescolare i piani e garantire, come aveva promesso, un candidato forte entro il mese di dicembre.
Di certo domare Polly non sarà semplice, tutti conosciamo le criticità di Roma, le attuali condizioni in cui versa la città, ma come nel film bisogna accantonare pregiudizi e incertezze e avere il coraggio di scommettere, di puntare su una relazione che, seppur possa apparire strana e complessa, potrebbe rivelarsi interessante.
I candidati di rilievo al momento su cui puntare sono già diversi, da Carlo Calenda a Giovanni Caudo. Francesco Rocca poteva forse aggiungersi con un interessante programma, rivolto soprattutto alle sfere fragili della città: dai conflitti sociali delle periferie all’emarginazione dei più deboli, dal contrasto alla povertà all’emergenza abitativa, tutti temi a cui Rocca ha dedicato gran parte della sua vita.
L’unica certezza al momento è che a Roma si sta delineando sempre più un confronto politico che sarà dettato probabilmente, e per fortuna, dalla tecnicità e dalla preparazione dei singoli candidati. Lo spazio per un politico “puro”, proveniente dalle stanze di partito, è sempre più ridotto. Chiunque vorrà perseguire questa strada sarà chiamato a mostrare che alle spalle del candidato ci sia una squadra di collaboratori qualificati, in grado di rispondere ai bisogni dei cittadini, che per forza di cose stanno puntando le loro attenzioni alle liste civiche, ai movimenti e comitati di quartiere, uniche forze di azione che hanno attenuato il vuoto amministrativo.