Roma e le voragini: ecco perché aumentano sempre di più

 

 

Il 2018 sarà ricordato come l’anno record per le voragini a Roma. Per 140 volte l’asfalto ha ceduto e ha inghiottito automobili, alberi, panchine e ogni cosa si trovasse in quel punto. E’ un miracolo che non ci siano state vittime come accaduto purtroppo a fine novembre sulla via Pontina, all’altezza di Sabaudia, dove un uomo, Valter Donà, è finito in un enorme cratere che si è aperto sotto la sua auto.
Uno studio dell’Ispra, l’Istituto per la Sicurezza Ambientale, ha certificato che la città sta sprofondando e che il fenomeno è in forte aumento: si è passati da una media di 16 voragini l’anno tra il 1998 e il 2008 a più di 90. Nel 2018, si è aperto un sinkholes ogni 36 ore, provocando chiusure improvvise delle strade e paralisi di interi quadranti.
Le cause sono da ricercare soprattutto nell’attività dell’uomo che, a partire dall’epoca romana, ha scavato il terreno per estrarre tufo e materiali necessari alla costruzione. Nei secoli si sono formati km di gallerie ai quali si sono poi aggiunti i lavori di epoca moderna per la realizzazione di reti idriche e fognature. La scarsa o nulla manutenzione di tombini e caditoie hanno fatto il resto. L’acqua piovana si infiltra e erode gradualmente il sottosuolo fino a farlo sprofondare.

L’Ispra ha prodotto una mappa delle zone più a rischio frutto del censimento delle gallerie che si estendono sotto la capitale. Il “Rapporto su Rischio Alluvioni, frane e cavità sotterranee di Roma” realizzato assieme a Italia Sicura e l’Autorità di Distretto Idrogeologico, racconta di 32 km di corridoi sotterranei e 500 ettari con alta probabilità di sprofondamento. Zone sulle quali vivono 250 mila romani, il numero maggiore di abitanti a rischio voragine di tutta Europa. I quartieri che corrono il maggior pericolo sono quelli ad est (Prenestino, Tiburtino, Centocelle ed Appio Tuscolano), seguiti da Centro Storico e San Giovanni, oltre a Monteverde, Aventino ed Esquilino.

Strettamente collegate alle voragini, anche le alluvioni e le esondazioni che interessano 1.135 ettari di città. Le pessime condizioni delle banchine del Tevere, le aree golenali spesso occupate da manufatti abusivi, non permettono il deflusso delle acque che ristagnano sotto le strade e possono alla lunga peggiorare la situazione. Fino a pochi anni fa, intorno ai fiumi della capitale, si estendevano 700 km di canali naturali o artificiali che costituivano vie di fuga per l’acqua. Oggi quei canali sono ostruiti da vegetazione spontanea e cumuli di rifiuti.
Una città che paga un prezzo salato per la sua scarsa manutenzione e che si scopre ogni giorno più fragile.

 

Il problema peggiora negli anni 60. Intervista alla dottoressa Stefania Nisio, primo tecnologo dell’Ispra e autrice dello studio.

Stefania Nisio (Ispra)

 

E’ dal 2002 che, come Ispra, seguite in tutta Italia il fenomeno delle voragini, ma è vero che in nessun’altra area del Paese c’è un emergenza come a Roma?
Il problema di Roma è che è ricca di cavità sotterranee come poche altre città. Lo scavo dei terreni iniziò in epoca romana quando si andava fuori porta a prelevare il tufo che era un ottimo materiale da costruzione. Creavano delle gallerie che nel tempo si allargavano a dismisura. In seguito queste cave divennero catacombe oppure cunicoli idraulici. Le estrazioni poi sono proseguite a fasi alterne fino alla seconda guerra mondiale.
Quindi Roma è di fatto costruita sul vuoto?
Non tanto nei quartieri centrali quanto in quelli nati negli anni ’60. Quelle che prima erano campagne sono diventate città e i palazzi sono stati realizzati senza fare accertamenti sul sottosuolo. Ci si fermava al primo strato.
Anche la Balduina, costruita proprio in quegli anni, è vittima degli scarsi accertamenti dell’epoca?
Nel caso della Balduina siamo su un territorio molto scosceso e quindi già predisposto alle voragini. A questo si è aggiunto il guasto ad una conduttura idraulica con il risultato che tutti abbiamo visto.
Cosa si potrebbe fare per prevenire questo tipo di eventi?
La prima cosa è la ricerca per individuare le aree più a rischio. La seconda cosa da fare sono degli interventi in sotterraneo per stabilizzare le cavità. Quelle più piccole si possono colmare, quelle più grandi vanno consolidate attraverso opere di ingegneria. Nello stesso tempo va monitorata anche la superficie: non appena si nota un movimento del terreno, occorre intervenire subito.
Quindi controlli costanti. Ma la scarsa manutenzione delle strade è responsabile delle voragini?
Assolutamente sì. Nelle aree a rischio la manutenzione va raddoppiata sia per le condutture idriche sia per i tombini. L’acqua deve defluire facilmente. In questi ultimi anni con i cambiamenti climatici il terreno alterna fasi di siccità a piogge abbondantissime. Le bombe d’acqua non fanno altro che disgregare il sottosuolo e aumentare il rischio.

 

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