Continuiamo a insistere sull’emergenza sanitaria dei malati non Covid, seria quanto quella della pandemia ma della quale si parla troppo poco.
Nelle prime ore del 2021, i dati che arrivano dai principali ospedali romani sono molto gravi per tutte le malattie tradizionali e più rassicuranti per i ricoveri da Coronavirus.
Ieri mattina al San Camillo, il pronto soccorso non riusciva a smaltire i 93 pazienti in attesa di cure. Il San Giovanni ne vedeva in coda 60 e 34 il San Filippo Neri.
In serata al Sant’Eugenio 41 persone erano alla ricerca di un letto e 50 al Gemelli. “Al Policlinico Casilino la situazione è critica – spiega il responsabile del Pronto Soccorso, dottor Adolfo Pagnanelli – abbiamo molti posti Covid liberi ma non possiamo usarli per gli altri malati. Il numero dei pazienti non Covid supera quello dei positivi“.
Il piano annunciato dalla Regione Lazio per aperture a soffietto di reparti attualmente sbarrati non sembra essere entrato ancora nel vivo.
Sia le strutture pubbliche che quelle convenzionate non dedicano abbastanza attenzione agli altri pazienti con un numero enorme di prestazioni non erogate: oltre 700 mila stando ai dati comunicati dalla Regione. E non si tratta di malattie minori ma di screening oncologici e cardiaci.
Ci sono poi 600 mila interventi chirurgici definiti “non urgenti” che, dopo essere stati rinviati, dovranno essere smaltiti e non si sa come farlo se gli ospedali continuano a tenere chiusi i reparti.
Preoccupato il presidente dell’Ordine dei Medici di Roma, Antonio Magi che parla di ” deficit di sanità per i malati cronici come vera grande eredità del Covid. Quasi 2 milioni di pazienti non si stanno curando e pagheremo cari questi ritardi”.
L’art. 29 del cosiddetto “Decreto Agosto” stanziava quasi 500 milioni di euro per abbattere le liste di attesa e chiedeva alle Regioni di presentare al Ministero della Salute un piano per recuperare le prestazioni non erogate. Parliamo di ben il 40% dei ricoveri ospedalieri in meno rispetto al 2019 e di una riduzione del 36% delle prestazioni di specialistica ambulatoriale.
Il Lazio, che ha convertito in Covid 5.300 posti letto, si trova adesso a non avere più spazio per gli altri malati. Il Presidente Zingaretti ha firmato un accordo con le strutture private per spostare nelle cliniche molti interventi urgenti. L’obiettivo è fare 300/400 interventi al mese, senza far pagare al paziente ma mantenendo il costo a carico del Servizio Sanitario Regionale.
Al momento, però, sono poche le operazioni davvero svolte nelle cliniche mentre in ospedale le sale operatorie restano a mezzo servizio. Così si è creato un collo di bottiglia che i pronto soccorso non riescono più a smaltire.
La solita retorica del “modello Italia” nella gestione della pandemia si scontra con una realtà fatta di disorganizzazione e pressapochismo. Nella gran parte dei paesi europei si è deciso di convertire interi ospedali in strutture Covid e lasciare agli altri la gestione delle patologie tradizionali. Nel Lazio, il miscuglio di reparti ha creato un caos incredibile. Un ospedale come il Pertini, un po’ Covid e un po’ no, non riesce a fare bene nessuna delle due attività, con sale operatorie a mezzo servizio e interi reparti senza malati.
La Federazione Foce, che riunisce centinaia di oncologi, ematologi e cardiologi, lo aveva chiesto da tempo: netta separazione fra ospedali Covid e non Covid. L’appello è rimasto inascoltato e adesso a pagarne le spese sono i malati che si trovano sbattuti su una barella in attesa di un letto che non si trova.
Per approfondire:
- Incontro Foce_Governo. Gli otto punti per assicurare la continuità di cura ai pazienti oncologici, cardiologici ed ematologici (Ass. Oncologia Medica)
- La sanità abbandona i malati non Covid: sale operatorie e reparti chiusi (diarioromano)
- Lazio i malati non Covid senza posto. I medici: “Non sappiamo dove ospitarli” (il Messaggero)