Roma: la città dei vivi, o meglio dei sopravvissuti

Partendo dall'omicidio Varani, lo scrittore Lagioia traccia uno spaccato impietoso della Capitale: un luogo che seduce e respinge. Gli anni senza Sindaco e senza speranza

Nel marzo 2016 l’omicidio di Luca Varani gettò nel totale sconforto e nello spaesamento l’opinione pubblica nazionale. Nelle ore immediatamente successive al ritrovamento del corpo del giovane romano si venne a scoprire, gradualmente, che in un appartamento del Collatino, in via Iginio Giordani, si era consumato uno degli omicidi più efferati degli ultimi anni.

Il come e il perché sono stati in parte chiariti dagli inquirenti, e ormai quella tremenda vicenda è entrata a far parte della memoria collettiva del paese e della città.

Non vogliamo ripercorrere le tappe assurde di questo omicidio che ha visto la morte di due persone, la condanna a trent’anni di reclusione per un ragazzo e una serie infinita di vite distrutte o turbate nel profondo.

 

Dopo cinque anni dallo svolgersi degli eventi lo scrittore Nicola Lagioia pubblica con Einaudi la ricostruzione minuziosa della tensione psicologica e sociale che portò al delitto, un libro che segna un solco profondo nel panorama letterario nazionale: infatti, possiamo dire che, finalmente, anche l’Italia può beneficiare di quello stile innovativo e provocatorio che mischia cronaca e letteratura, avviato oltralpe da Emmanuel Carrère e Michel Houellebecq.

Appena lette le prime pagine si percepisce subito uno spaesamento generale e le domande sorgono spontanee: perché scrivere un libro di questo tipo? Perché ho comprato un libro del genere? Come se nella mente si innescasse subito un sentimento di rifiuto nel rivivere quei giorni, lo stesso sentimento di rifiuto della realtà che invece cinque anni fa portò Lagioia a chiedersi il perché fosse successa una tragedia di quella portata, spingendolo ad accettare la realizzazione di un reportage che ne indagasse socialmente i meccanismi.

Il blocco iniziale svanisce in fretta e il lettore comincerà a sentirsi calamitato dalla ricostruzione di quel dramma, percependo che, tra le righe, forse, esiste un’altra verità oltre a quella processuale, una verità che il chiacchiericcio dei media, la ricerca spasmodica dello scoop e la voglia di vendetta dei cittadini (“il cinismo era l’aria che respiravano tutti”) hanno offuscato e sottaciuto.

La verità che Lagioia espone, senza dirlo apertamente, è che tutti siamo e potevamo essere Luca Varani, tutti potevamo e potremmo essere Marco Prato e Manuel Foffo. Tre ragazzi, tre figli di tre famiglie, diverse tra di loro, tre storie che si articolano in una realtà che nessuno prima d’oggi aveva descritto, ovvero la realtà cittadina, la realtà romana.

Una città stratificata dove i sedimenti sono difficili da capire, da interpretare, a volte anche solo da intuire. Nel 2016 è iniziato così per Lagioia un viaggio nell’abisso di Roma: La città dei vivi è un luogo tremendo, una città eternamente dannata, bella, paurosa e contraddittoria.

Era l’anno del commissariamento del Comune, delle indagini su Mafia Capitale. Una città senza sindaco ma con due papi, una capitale che si risvegliava ogni mattina e scopriva sempre di più che la corruzione aveva inquinato l’amministrazione ad ogni livello. Una città venduta e svenduta ai peggiori acquirenti. I romani vivevano quell’anno come incastrati in un limbo infernale: rifiuti per le strade, trasporti in tilt, traffico impazzito, uffici bloccati, tassisti violenti, passeggeri livorosi, autisti di autobus picchiati, risse tra ragazzi, spaccio e furti. “Seee… vajelo a di’ ar sindaco” era la frase più in voga in quel momento, dove si giustificava la mancanza delle istituzioni, proprio perché queste non esistevano. La città andava lentamente alla deriva, o era già approdata senza che nessuno si fosse accorto, però, che l’attracco era solo una terra franca.

 

Le indagini per mafia svelarono una divisione dualistica della metropoli che fece scalpore in tutto il mondo, una sfera dei morti e una sfera dei vivi, in mezzo faccendieri senza scrupolo che mettevano in collegamento i due livelli. Ma a pagarne le conseguenze vi è una terza città che Lagioia non nomina, la città dei sopravvissuti. È qui che crescono e si formano Manuel Foffo, Marco Prato e Luca Varani, insieme a un esercito di comparse, protagonisti più o meno importanti. Sopravvivere per non sentirsi morti, per sentirsi vivi anche solo per un giorno.

L’autore intraprende questo viaggio di sopravvivenza per diversi motivi personali (a cui riconosciamo la grande umiltà e forza d’animo nell’aver confessato parti buie del suo passato) per capire e mettere a nudo prima di tutto se stesso. In questa chiave piega una storia di cronaca nera alla letteratura, la città corrotta e abbandonata diventa un’ambientazione perfetta per un intercalare narrativo da inserire tra un capitolo e l’altro: un turista olandese che vaga tra le vie di Roma dove subisce la città, ma soprattutto la romanità. Può uno scrittore spingersi a tanto? Sì, può e deve farlo, non per licenza poetica, quanto per respiro intellettuale.

La città dei vivi ricorda da vicino L’avversario di Carrère, o la pellicola Irreversibile di Gasper Noé. Un qualcosa che fa male al lettore o allo spettatore, quel dolore latente che ci spinge ad interrogarci. Nella città dei vivi, Roma mostra i suoi lati peggiori, gli eccessi, le ossessioni, i fallimenti individuali e famigliari. Da una parte la media e alta borghesia fintamente progressista ma chiusa e ostile nei confronti dell’omosessualità; dall’altra una periferia alla continua ricerca di vie di fuga, di espedienti e di soluzioni. Vivi e morti, e viceversa, si cercano e si trovano di continuo, vite contaminate o distrutte dall’alcol, dalla prostituzione e dalla droga, un mare di droga.

Quando l’inchiesta sull’omicidio Varani sembrava ormai avvicinarsi a un epilogo, Lagioia e sua moglie, cavalcando l’occasione di un nuovo lavoro, lasciarono la città per trasferirsi a Torino, l’autore era convinto di poter seguire le ultime battute dell’indagine da lontano: “Ci separammo da Roma con la convinzione di chi si libera da un vizio”. La Capitale non li aveva traditi, li aveva scioccati e anche loro scapparono come sopravvissuti a una tragedia:
“Una città in cui tutto è già accaduto. Dopo una settimana di permanenza, il presidente degli Stati Uniti qui a Roma diventerebbe uno stronzo qualunque. Chi ha bisogno di illusioni, eviti le lunghe soste in città. A Roma i potenti si guardano allo specchio e vedono un teschio, la consapevolezza che tutti siamo destinati all’ombra. Che dopo Augusto c’è Tiberio. Che ogni uomo ha un prezzo. Che la carne è debole. Che all’incrocio tra via di Porta Maggiore e viale Manzoni lavora un lavavetri con un braccio solo.”

Torino in confronto sembrava una città di provincia, tutto era più lento, i tassisti erano educati, riuscivi a rispettare gli appuntamenti, a disbrigare gli impegni burocratici.

Eppure, nonostante si vivesse di “piccole sorprese quotidiane” qualcosa li turbava, e giorno dopo giorno capirono: “Il problema era che, ammettemmo, provavamo una nostalgia straziante. Roma ci mancava da morire. Forse ci eravamo legati alla città come un tossico alla sua droga […] ci si sorprende ad amare ciò che fino a poco prima ti avvelena il sangue? Forse eravamo talmente abituati al disastro da non potercene staccare? Ne facevamo parte? Ci sono le città dei vivi, popolate da morti”.

La capitale li aveva sedotti al punto tale che l’autore si sentiva un traditore anche solo per aver pensato di vivere altrove, l’unica soluzione era tornare e cercare di sopravvivere.

“Ti scippavano in metropolitana. Ti insultavano ai semafori. Ti spennavano nei ristoranti, ti tossivano in faccia. Ma alla fine il saldo era positivo. La città ti regalava molto di più di quello che chiedeva in cambio.”

Ecco allora la comparsa dell’Avversario di Carrére. Lagioia porterà a termine il suo lavoro sull’omicidio Varani facendo i conti da vicino con i suoi fantasmi. Tutti siamo chiamati a convivere con la parte in ombra della nostra anima, crediamo di conoscerci e conoscere le persone, ma non è così. Non era così per Luca, per Manuel e per Marco. Quando crediamo di aver trovato un carnefice, di averlo identificato, ci sentiamo al sicuro, senza capire che alle sue spalle si cela un altro carnefice e così via come una catena invisibile. È questa la grande scoperta che ha fatto Lagioia nel suo viaggio tra le vie della capitale, tra interviste, appuntamenti, chiacchierate con i giornalisti, atti di processo, lettere e ricostruzioni: Roma sarà per sempre stratificata, non solo per le sue classi sociali, ma soprattutto per le lotte psicologiche che partorisce di continuo. Roma era vittima, e carnefice nello stesso tempo, dell’omicidio Varani. È la stessa scoperta che farà il turista olandese, rimasto incastrato nelle proprie ossessioni e caduto nella rete della prostituzione, forse minorile.

 

Nella città dei vivi e dei morti si sopravvive non solo a Roma, ma a se stessi, alle proprie ossessioni, ai propri dolori.

“Tornammo in soggiorno. Ci sedemmo intorno al tavolo e riprendemmo a parlare. Il signor Varani ci offrì un liquore alla carruba. Il soggiorno dava sul retro della costruzione. Dalle finestre aperte il panorama era stupendo. Vedevamo la campagna, i grandi pini, i pascoli. «Allora? Com’è questo liquore?». Tra poco il sole sarebbe tramontato. Il caldo avrebbe fatto posto alla placida sera estiva.”

 

Buona lettura!

 


In copertina, via Giordani, luogo dell’omicidio Varani

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