Siamo entrati nell’epoca del phono sapiens e del dominio delle non cose

"Le non cose" è il nuovo saggio del filosofo coreano Byung-Chul Han. Un'analisi cruda sulla nuova epoca del trans umanesimo e dell'uomo iperconnesso. Ma c'è ancora speranza

Byung-Chul Han si è ormai affermato come tra i più importanti filosofi ed Entomologi degli ultimi anni. I suoi libri tradotti e studiati in tutto il mondo squarciano quella patina polverosa che offusca i contorni della vita reale dove tutto ormai si trasforma minuto dopo minuto. Nel suo ultimo libro “Le non cose. Come abbiamo smesso di vivere il reale” (Einaudi), Han alza nuovamente il tiro contro la società iperconnessa. La sua è una riflessione amara e sferzante sul futuro “nuvoloso e spettrale” che si sta già affermando.

 

La sua analisi e il suo conseguente attacco non vogliono essere contro l’informazione web, ma punta dritta al cuore del problema, ovvero all’uso smodato e senza senso che le persone fanno del web e dei social network, vittime di un’assuefazione prepotente che non ha lasciato il tempo di reagire.

 

Abbiamo avuto riflessioni acute di questo tipo già agli albori dell’era dell’iper informazione, quando la comparsa di Facebook aveva innescato un cambio di rotta nella vita di tutti i giorni.

 

In meno di dieci anni possiamo dire che il mondo, come lo conoscevamo, è scomparso del tutto, e la sua scomparsa non è stata dettata solo dai grandi mutamenti della società, come la guerra o la pandemia, ma a detta di Han la società è cambiata per un volere preciso, ovvero per il potere neoliberista che attraverso la tecnologia e il suo incredibile senso di libertà tiene sotto scacco la popolazione, chiedendo loro di raccontare la propria vita, gli usi e i gusti.

 

Le regole di questo racconto sono dettate dall’alto. Come in una testata giornalistica si devono seguire delle regole ben precise per poter descrivere qualcosa, così anche gli algoritmi e le piattaforme web determino la struttura della comunicazione: non bisogna avere legami intensi, le storie devono essere potenzialmente deboli, nessuno vuole intristirsi sul web, bisogna dare spazio alla positività; la positività crea e produce, la tristezza è improduttiva.

Delle sovrastrutture che hanno permesso ad un nuovo tipo di capitalismo distruggere sistematicamente i legami personali.

L’ipercomunicazione ha “profanato il mondo”, ognuno tende a produrre e riprodurre se stesso senza riserve in un malato meccanismo narcisistico, perché tutti i legami che si costruiscono mirano a enfatizzare solamente se stessi.

Una vita fluida ed egoistica che non lascia spazio all’altro.

Proprio sulla scomparsa dell’altro, Byung-Chul Han avanza un’analisi spietata. In questa perdita si annulla la società. Non vi è più una comunicazione di corpi e sguardi. Non vi è empatia, perché l’empatia è filtrata da uno strumento e non dalle nostre emozioni. Si è perso del tutto l’accesso alle “nozioni elementari dell’emozione dell’altro”.

 

L’era della trans e post umanità si sta innescando, i legami e le vite saranno solo scambi di informazioni. Il metaverso ne è la prima plastica dimostrazione.

 

Il prossimo passo di civiltà si spingerà oltre la trasformazione del mondo in immagini. Consisterà nel creare il mondo, cioè una realtà iperreale, partendo dalle immagini.”

 

In questo enorme e non quantificabile scambio di informazioni tutto perde valore, anche il lavoro manuale non ha più senso. Nell’epoca del phono sapiens lo scorrere delle dita sullo schermo del telefono, prolungamento del braccio e della mano dell’uomo sul mondo, rende godibile il tempo a proprio piacimento, in base alle scelte prese si dirottano le emozioni annullando del tutto la sofferenza dalla vita.

Le ferite, come sottolinea Han, erano la finestra sul mondo e sugli altri, ora sono invece anestetizzate a comando. La mano muta da strumento di lavoro tradizionale a potente demiurgo in grado di cambiare gli esiti delle emozioni a godibilità del tempo.

È la critica più acuta mossa da Han: riguarda quella che lui definisce, ormai in quasi tutti i suoi libri, la società sedata. Attraverso questi sistemi non ci si rende conto di come la vita abbia preso le sembianze di una enorme scatola vuota ripiena di sedativi.

l’assenza digitale di resistenze e l’ambiente smart portano a una carenza di mondo e di esperienze”.

 

Questi strumenti di controllo hanno messo all’angolo anche gli istinti naturali alla ribellione. Il phono sapiens rivendica altri diritti: connessioni libere e gratuite, videogiochi ad alto rendimento, serie tv fruibili, social network dove interagire e credere di continuare a mantenere un rapporto “umano”, non da ultimo il reddito universale, ovvero uno strumento che demolirà del tutto sia il senso di lavoro sia il senso della politica. Una volta garantito l’accesso al reddito universale, il phono sapiens avrà compiuto il suo balzo definito, ovvero liquefarsi nel Cloud, quel luogo sicuro privo di conflitti, di tristezza, ma pieno di narcisismo e di voglia di primeggiare.
Non si vivranno più le tensioni sociali e politiche che hanno segnato la storia contemporanea.

 

Col motto panem et circenses Giovenale descrive una società romana in cui non era più possibile alcun agire politico. Gli uomini venivano sedati a colpi di cibo gratuito e giochi spettacolari. Il reddito minimo universale e i videogiochi sarebbero la versione moderna del panem et circenses”.

 

Tutto è perduto? Forse no. Come homo sapiens abbiamo ancora una speranza: dare valore alle cose. Con questa frase Han ci indica che parte della storia viene ancora conservata nelle cose che possediamo. Se da una parte molte persone si liberano delle cose dopo averle consumate altre continuano a conservarle perché percepiscono la loro storia. Un libro cartaceo porta i segni della lettura, conserva i momenti e i luoghi in cui è stato letto. Una vecchia lettera spedita riporta il francobollo che qualcuno ha avuto cura di apporre. Una penna regalata, un disco comprato e ascoltato migliaia di volte riproduce un fruscio che testimonia soprattutto la storia  più che il suo consumo. Insomma, se da una parte siamo spinti a dematerializzarci per essere al mondo, dall’altra esiste un universo parallelo di cose materiali che ci ricorda che siamo ancora umani, che il nostro toccare e consumare le cose equivale a scrivere ogni giorno un tassello di esistenza “reale”, personale e collettiva. E la percezione dello spazio intorno a noi, con la sua storia e il suo essere vissuto, ci ricorderà quelle “sofferenze”, quelle finestre sulla vita che vanno accolte e non sedate.

 

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