In un anno di pandemia il l’incremento considerevole dello smart working ha mostrato tutti i risvolti positivi e negativi di questo modalità di lavoro.
Un aspetto, però, che ancora non è stato affrontato né da parte del governo né da parte delle persone coinvolte, come grandi e piccole aziende, è l’impatto che la trasformazione del lavoro sta avendo sul valore degli immobili e di come influisca drasticamente sull’economia della città.
Il Sole 24 Ore, attraverso un software, nel suo portale Lab24, ha riportato graficamente quello che sta avvenendo per esempio nella città di Milano, dove il ricorso allo smart working, da parte delle grandi aziende, ha dimezzato, se non quasi azzerato, la presenza dei lavoratori nelle sedi. Il periodo di riferimento è stato il mese di settembre 2020, quando la curva epidemiologica era sotto controllo e il lavoro agile non veniva sfruttato al 100%. Con solo il 30% di dipendenti operativi da casa l’impatto è stato comunque consistente, sia per le attività di ristorazione sia per il trasporto pubblico.
Una riduzione così netta del tasso di occupazione degli uffici fa sorgere un nuovo problema che riguarda anche i comuni e il governo: come riuscire a giustificare le spese per il mantenimento di questi immobili?
Perché, se i DPCM impongono il ricorso allo smart working, l’azienda deve comunque farsi carico delle spese di gestione della sede o dei luoghi che prima della pandemia erano utilizzati a pieno. Nel caso in cui l’azienda fosse anche proprietaria dell’immobile, l’economia della sua gestione potrebbe ricadere sui contratti di lavoro (come tagli al personale o rimodulazione dei contratti); in caso contrario, invece, non solo si ricorrerebbe a nuovi tipi di contratto, ma l’azienda potrebbe far leva sui proprietari degli immobili per ottenere una riduzione dei canoni di locazione. E se il lavoro agile diventasse strutturale anche dopo la pandemia? Questa è la domanda che lascia aperta Il Sole 24 Ore titolando per l’appunto la sua analisi con “Città dimezzate: l’effetto smartworking su Milano”.
Il governo, allora, non si dovrebbe solo preoccupare dei ristoratori, che continuerebbero ad essere penalizzati, ma dovrebbe puntare la sua attenzione anche sui contratti dei lavoratori, e creare degli ammortizzatori per i proprietari degli immobili (non tutti appartenenti alle grandi catene di Real Estate).
Le ricadute negative dello smart working possono rivelarsi davvero pericolose, soprattutto in una città come Roma, dove la mancanza del turismo ha già penalizzato il primo indotto economico della città. La massiccia presenza degli uffici, poi, in particolar modo pubblici, crea un melting pot lavorativo che venendo meno, con il lavoro agile, può velocizzare un processo di impoverimento dell’economia cittadina. Gli immobili del centro, che solo in parte sono riusciti a mantenere invariato il loro valore, subiranno una flessione sul mercato. I dati del 2020, infatti, fotografano un -10% per quanto riguarda le compravendite nella Capitale, una drastica diminuzione delle locazioni (con segno positivo solo nelle zone di periferia o semi-periferia) e un aumento di contratti a canone concordato o transitorio. Dati che potranno registrare una crescita solo a partire dal 2022, quando saranno delineati gli effetti della pandemia sulla tenuta dell’economia e dei posti di lavoro.
Difatti, essendo entrati nella fase di ricostruzione dell’era post Covid, un’era green, ecosostenibile e altamente digitalizzata, il processo di rivoluzione dello smart working non può essere certo bloccato o demonizzato. In questa chiave, il Premio Nobel per l’economia, Paul Krugman, riporta i termini della questione su quel sottile concetto in cui il progresso, a volte, non equivale sempre ad una rivoluzione positiva dei propri stili di vita, e gli effetti positivi nel breve periodo, percepiti dalla collettività come tali, possono rivelarsi solo una chimera nel lungo periodo.
Sulle pagine del New York Times, del 15 marzo 2021, l’economista ha analizzato la portata dello smart working con un interessante articolo intitolato “La pandemia e la città del futuro”.
Per spiegare quello che stiamo vivendo ha utilizzato un parallelismo con quello che fu l’avvento dell’e-book nella vita di tutti i giorni (a scanso di equivoci, Krugman chiarisce che nessuno può prevedere modelli futuri ma i fatti storici possono alimentare speculazioni e parallelismi).
Quando agli inizi del 2000 cominciarono a circolare in rete i primi libri in formato digitale, tutti si accorsero della portata rivoluzionaria che si stava innescando.
A più riprese si denunciò l’imminente fine del libro cartaceo, delle case editrici, la chiusura delle librerie e delle grandi catene di distribuzione, magazzini, trasportatori e quant’altro: un danno economico devastante in nome della libertà individuale nel poter disporre in pochi minuti di un libro a fronte di una spesa contenuta, se non addirittura gratuito.
Bisognò però aspettare altri dieci anni con la comparsa dei supporti di lettura, dai tablet agli e-reader. I social network, poi, in cui si potevano scambiare i libri in una sorta di biblioteca digitale, rilanciarono quella tensione di fine imminente di un settore fondamentale per la società. Ognuno poteva sentirsi un Prometeo in grado di sfidare il “sistema”, di capovolgere la scala dei valori, avendo ottenuto gli strumenti per poter attuare la propria rivoluzione: una connessione internet e un supporto per navigare. Eppure, il libro cartaceo non solo è sopravvissuto ma è riuscito a contrarre il mercato dell’e-book rendendolo di nicchia. Come è riuscito a ottenere questa vittoria? Sono due le risposte da analizzare e da sovrapporre all’avvento dello smart working:
- da una parte il libro cartaceo garantì e garantisce tutt’ora un insieme di elementi che vanno al di là della tecnologia: rapporto personale e intimo con l’oggetto; rapporti interpersonali ed empatici con i librai di fiducia; senso di appartenenza verso una libreria e così via.
- dall’altra parte la rivoluzione tecnologica, il progresso, quando presenta una novità in grado di cambiare la quotidianità delle persone, ipertrofizza la percezione della sua reale portata. Paul Krugman, infatti, sottolinea come l’e-book iniziò a contrarre il suo mercato nel momento in cui raggiunse l’apice della sua rivoluzione, quando gli acquirenti iniziarono a bilanciare bene la convenienza dell’e-book con altri fattori. Toccato questo livello, la sua bolla iniziò a sgonfiarsi. Questo non vuol dire però che il mercato non ne abbia risentito pesantemente.
Ecco allora il parallelismo con lo smart working. Ancora una volta internet e i suoi supporti hanno mostrato la possibilità di poter lavorare in qualsiasi luogo, al di fuori del proprio ufficio. In questo modo, le persone si sono sentite libere di poter organizzare al meglio la propria vita. Le aziende, adeguandosi di conseguenza, ricorrono a questo metodo di lavoro per ammortizzare le spese.
Krugman avverte che questo passaggio non sarà definitivo, la bolla dello smart working crescerà ancora per qualche anno, almeno fino a quando il Covid non sarà trasformato in una malattia endemica. In questa fase, il volto delle città cambierà drasticamente: le periferie accoglieranno i lavoratori che non saranno più pendolari, ci sarà una diversa domanda immobiliare, orientata verso appartamenti più grandi, con giardini e terrazzo, con una stanza in più per il lavoro o per la DAD. Si dovranno rimodulare gli uffici pubblici e il trasporto pubblico.
Tuttavia, un giorno si tornerà al vecchio lavoro di ufficio, non si potrà mettere da parte l’importanza degli incontri dal vivo. Le persone bilanceranno anche in questo campo l’effettiva convenienza, sentiranno il bisogno di vivere le pause con i colleghi, il pranzo, il caffè, “la birra dopo l’orario di lavoro”, sentire quel senso di appartenenza verso la propria sede lavorativa, la propria scrivania.
Il sentimento di collettività avrà la meglio sull’individualismo innescato dalla pandemia. Saranno comunque città diverse (come dimostrato dal Lab24), perché una volta lanciato, lo smart working persisterà per sempre, come l’e-book. Ci saranno i cosiddetti nomadi digitali che non ne potranno fare a meno, ma non potranno mai diventare la maggioranza.
Cosa fare nel mentre? Tutelare economicamente la transizione, la fase più delicata sarà appunto quella del passaggio tra i due modi di vivere la città, quella in cui la bolla, crescendo, potrà lasciare dietro di sé una scia infinita di cocci da raccogliere, perché, come sottolinea lo studioso, i vantaggi che guidano “l’economia delle città moderne” nascondono e alimentano le divergenze sociali.
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