Ieri La Repubblica ha dato la notizia di Atac che avrebbe iniziato a denunciare in Procura, per interruzione di pubblico servizio, i proprietari dei veicoli che bloccano bus e tram con la sosta d’intralcio.
Sui social si sono lette reazioni generalmente positive a questa notizia: finalmente Atac adotta il pugno duro contro la peggiore sosta selvaggia, ossia quella che blocca i cittadini che generano il minor impatto con i loro spostamenti.
Purtroppo però ci sentiamo di dover raffreddare un po’ eventuali entusiasmi generatisi alla notizia, così come ridimensionare le aspettative da essa generate.
Il fatto è che non si tratta affatto di una novità per Roma, in quanto già nel 2019 la Procura di Roma prese un’iniziativa simile, insieme ad Atac, e a distanza di tre anni non si è visto alcun risultato.
Noi facemmo una dettagliata descrizione di quell’iniziativa, spiegando anche le circostanze che la Procura aveva deciso necessarie per una denuncia ex art.340 del Codice Penale.
Un estratto dal nostro articolo dell’agosto 2019:
“E’ una piccola rivoluzione giudiziaria che la capitale ha deciso di adottare tra le prime in Italia anche a causa dell’elevato numero di contravvenzioni per intralcio alla circolazione: nel 2018 ne sono state comminate 615 mila e quest’anno si prevede che il numero cresca ulteriormente. Fino ad oggi, la giurisprudenza era concorde nel far rientrare il reato nella fattispecie della “violenza privata” come stabilisce l’articolo 610 del codice penale. Si trattava, però, di vetture lasciate davanti a un garage o ad un’altra auto e che dunque ostruivano il libero movimento di un singolo cittadino.
Il Tribunale di piazzale Clodio ha deciso di prendere spunto da una sentenza del 2012 emessa per la prima volta a Firenze. In quel caso un uomo, Erion Aqua, aveva lasciato la sua Mercedes in una posizione tale che i bus della linea 23 rimasero bloccati per diverse ore in via del Proconsolo, impedendo la circolazione di centinaia di persone. Aqua fu condannato a venti giorni di reclusione.
A Roma episodi simili accadono di frequente. Secondo Atac sono più di mille ogni anno i tram e gli autobus che si vedono bloccata la strada da automobilisti scorretti. Ecco perché il pubblico ministero Paolo Ielo ha deciso di contestare l’interruzione di pubblico servizio ad almeno dieci di loro. Agli uffici giudiziari arrivano circa duemila esposti l’anno da parte di autisti Atac o Ama che non riescono a svolgere il loro lavoro per le auto parcheggiate male. Come si fa allora a stabilire quale parcheggio selvaggio sia da annoverare tra i reati amministrativi o tra quelli penali? La Procura di Roma ha adottato un criterio temporale: se l’auto in sosta vietata viene spostata entro 30 minuti o il mezzo pubblico riesce a trovare un percorso alternativo, allora la denuncia penale viene accantonata. Se invece la sosta si protrae oltre la mezz’ora, bloccando il passaggio di bus e tram, il guidatore ha alte probabilità di finire davanti al magistrato per violazione dell’articolo 340 del codice penale, con l’accusa di aver interrotto il servizio di trasporto o aver impedito il transito di mezzi di soccorso.”
Così chiudevamo quell’articolo:
“Se lo strumento penale sia il giusto deterrente al comportamento scorretto degli automobilisti si capirà solo tra un paio di anni quando i processi arriveranno a sentenza e soprattutto quando si potrà confrontare il numero di blocchi delle strade prima e dopo l’entrata in vigore della norma.”
Ebbene di anni ne sono passato tre e le cose non sono minimamente cambiate, segno che probabilmente quella della Procura non è la strada giusta per evitare che mezzi privati blocchino tram e bus.
In effetti non sono pochi i problemi che comporta il ricorso al codice penale. Anzitutto iniziare a perseguire penalmente anche alcuni casi di sosta selvaggia contribuisce ad intasare tribunali che già sono a tappo, per di più per fattispecie sì odiose e di grande impatto, ma di scarso allarme sociale.
Inoltre il fatto che a Roma la sosta selvaggia sia generalmente considerata un male minore, spesso a partire dalle stesse forze dell’ordine che nella gran parte dei casi la ignorano, fa sì che la stragrande maggioranza delle persone non si rendano minimamente conto dei danni che fanno lasciando il proprio veicolo in sosta vietata ed è davvero discutibile farglielo capire a cura di un giudice penale. Anche perché lo scopo delle sanzioni, e delle pene, non è semplicemente afflittivo, ma dovrebbe spingere ad evitare l’infrazione o il reato, mentre con questa iniziativa si intasano ulteriormente i tribunali con sentenze che al meglio arriveranno dopo anni.
A nostro avviso le strade da percorrere sono altre, a partire da una stretta generalizzata sulla sosta selvaggia, ovunque essa si manifesti, in modo da cominciare a cambiare la percezione delle persone rispetto a comportamenti illeciti ma da troppi giudicati normali. Invece di inasprire le sanzioni, va aumentata di molto la probabilità di subirla la sanzione, laddove oggi è un incidente contro cui tutti imprecano (invece di ringraziare per tutte le volte che la fanno franca).
Per avvicinarsi alla certezza della sanzione si possono utilmente adottare tecnologie moderne che moltiplicano il lavoro delle forze dell’ordine ed eliminano la discrezionalità; lo street control anzitutto (che a Roma fu introdotto dal comandante Clemente e poi fatto sparire dall’amministrazione Raggi), con cui scandagliare le strade ad alto scorrimento, dove la sosta in doppia fila crea i maggiori danni; uno strumento simile allo street control andrebbe poi installato su tutti i mezzi Atac e Ama, così che eventuali veicoli in sosta d’intralcio possano essere automaticamente sanzionati.
Sempre in tema di tecnologie, l’aumento nell’uso di strumenti automatici di controllo richiederebbe che l’utente venga immediatamente notificato della sanzione ricevuta, per evitare che continui a commettere l’infrazione fino a che non gli cominciano ad arrivare i verbali a casa dopo mesi (succede ad esempio nel caso di accesso nelle ZTL avendone perso il diritto senza saperlo). La possibilità di associare la targa di un veicolo ad un’identità digitale o PEC è qualcosa che il Parlamento dovrebbe mettere a disposizione e la speranza è che essa rientri in qualche modo nella parte di transizione digitale prevista dal PNRR. Peraltro avere un recapito digitale associato ad un veicolo permetterebbe di avvertire in tempo reale il proprietario della sosta d’intralcio, invitandolo a spostarlo pena la rimozione.
Infine, sulla rimozione, allo scopo di minimizzare gli impatti di un veicolo in sosta d’intralcio per tram e bus, va predisposto un servizio rimozione veicoli degno di questo nome, con mezzi a disposizione per interventi urgenti; con un minimo di organizzazione infatti non ci dovrebbe volere più di una mezzora per intervenire col carrattrezzi in una qualsiasi zona di Roma, mentre ad oggi sembra che la città sia ancora priva di un servizio rimozioni veicoli (nonostante il bando del 2019, dopo innumerevoli tentativo, che però noi avevamo già bocciato come insufficiente).
L’unico aspetto positivo di questa notizia è che apparentemente la nuova gestione di Atac abbia capito che bisogna fare qualcosa contro le soste che bloccano intere linee del TPL di superficie. Per il resto pare si continui con tentativi del passato che hanno già dimostrato di non funzionare.
Chiudiamo notando che se un blogghino come il nostro è riuscito facilmente a risalire ad un’iniziativa sinile del 2019, ci si chiede perché una corazzata come La Repubblica si limita a riportare la notizia fornitale da Atac senza fare il benché minimo approfondimento.
Come abbiamo scritto più volte, la memoria da pesce rosso della stampa main stream romana è concausa rilevante dei problemi cittadini.