Leggiamo su Il Messaggero di domenica scorsa di una sentenza del TAR del Lazio che ha visto Roma Capitale soccombere in giudizio contro alcuni ristoratori del centro. Costoro avevano fatto ricorso perché il Comune non aveva risposto alle loro richieste di rivedere i Piani di Massima Occupabilità (PMO) che riguardano i luoghi in cui insistono i locali.
Cosa sono i PMO lo abbiamo spiegato più volte e per una descrizione dettagliata rimandiamo all’apposita scheda predisposta nell’autunno 2019 da da Paolo Gelsomini, animatore dell’associazione Progetto Celio.
In estrema sintesi possiamo qui definire i PMO come una sorta di mini-piani regolatori in cui viene stabilito per una strada o per una piazza quante e quali Occupazioni di Suolo Pubblico (OSP) possono essere concesse, sulla base del Codice della Strada e delle altre normative vigenti (norme di sicurezza, ambientali, ecc.).
Lo strumento dei PMO è stato utilizzato in massima parte nell’ambito del Municipio I, in quanto estremamente utile a governare l’utilizzo del suolo pubblico nei casi in cui vi sia una notevole concentrazione di locali di somministrazione negli stessi luoghi. I primi PMO furono approvati nel 2008, con Orlando Corsetti presidente del Municipio I, e a fine consiliatura se ne contarono un centinaio approvati. Poi nel 2013 venne eletta Sabrina Alfonsi e il processo di redazione e approvazione dei PMO si bloccò, tanto che negli otto anni di presidenza Alfonsi il Consiglio del Municipio I approvò meno di dieci PMO, contro il centinaio dei cinque anni di Corsetti.
Il fatto è che da una parte gli esercenti cominciarono a fare le barricate contro i PMO, lamentandosi che erano troppo restrittivi e in molti casi iniqui, e iniziando a richiedere la revisione dei piani già approvati; dall’altra la maggioranza di centrosinistra si piegò alle ragioni degli esercenti, ma invece che porre il problema a livello più alto, segnalando all’Assemblea Capitolina eventuali problemi e chiedendo revisioni normative, ci fu un generale boicottaggio dei PMO, lasciando che gli uffici municipali venissero subissati di richieste di revisione e così impedendo di portare avanti la pianificazione in tutti i luoghi dove era stata prevista.
Negli anni della presidenza Alfonsi la situazione dei PMO arrivò a livelli di vero e proprio paradosso. Al tempo i giudici del TAR censurarono a più riprese il Municipio I perché non si stava portando avanti la redazione e approvazione di tutti i PMO previsti, creando così disparità tra esercenti che dovevano sottostare al piano e altri che invece ancora non ne avevano uno approvato per la loro strada/piazza.
In una tale situazione, nell’ottobre del 2017 un nutrito gruppo di associazioni di cittadini scrisse una lettera al Consiglio del Municipio I chiedendo sostanzialmente che la si finisse con l’ostruzionismo sui nuovi PMO e che si ricominciasse ad approvare i piani in modo da completare la copertura del territorio; ebbene a tale lettera rispose l’allora presidente del Consiglio del Municipio I, Davide Curcio (del Partito Democratico) informando che la Conferenza dei Presidenti dei Gruppi Consiliari del Municipio Roma I Centro avrebbe ravvisato nel testo “passaggi gravemente diffamatori e potenzialmente finalizzati a condizionare l’operato dei consiglieri mediante intimidazione”, per cui si era deciso di inviare la missiva alla Procura della Repubblica.
Non male come corto circuito, vero? I cittadini scrivono una semplice e civilissima lettera di sollecito al massimo organo di rappresentanza del Municipio e quello invece che convocarli ed eventualmente confrontarsi per tutta risposta gira la missiva alla Procura per verificare eventuali ipotesi di reato!?!
A ulteriore conferma del vero e proprio boicottaggio dei PMO avvenuto in Municipio I durante la reggenza Alfonsi, vi è la dichiarazione del consigliere Yuri Trombetti (PD) resa qualche mese fa durante una seduta della commissione commercio dell’Assemblea Capitolina, dove l’on. Trombetti si è detto fiero di aver bloccato ogni approvazione di PMO per i due anni e mezzo nei quali è stato presidente del Consiglio del Municipio I.
L’avversione ai PMO ha connotato praticamente tutte le forze politiche: i partiti del centrodestra in quanto da sempre appiattiti sulle posizioni degli esercenti (a prescindere dal merito delle stesse), il PD, come appena descritto, ma anche il M5S. È infatti da ascrivere al Movimento 5 Stelle l’ultimo decisivo colpo inferto allo strumento dei PMO.
Artefice dell’ultimo affossamento è stato infatti l’assessore al commercio Andrea Coia nella passata consiliatura, con la sua proposta di spostare la competenza dei piani dai Municipi all’amministrazione centrale. Con la scusa infatti che i Municipi erano inadempienti rispetto ai PMO (essenzialmente il Municipio I, come descritto sopra), sia in termini di redazione dei piani che di loro revisione, l’assessore Coia ha pensato di portare la competenza in capo al Dipartimento senza però preoccuparsi che vi fossero le necessarie risorse e capacità.
Il risultato, da noi ampiamente previsto, è stato il definitivo stallo dei PMO, i quali sono stati anche sospesi dalla normativa emergenziale per il Covid.
Tornando alla recente sentenza del TAR che ha condannato Roma Capitale per inerzia nella revisione dei PMO, essa è la logica conseguenza di aver affossato l’unico strumento che aveva dimostrato di poter pianificare l’utilizzo del suolo pubblico nelle zone a maggior concentrazione di locali, resistendo anche a praticamente tutti i ricorsi amministrativi provati dagli esercenti.
Purtroppo i PMO continuano ad essere visti come un problema un po’ da tutte le forze politiche ed anche l’attuale assessore al commercio, Monica Lucarelli, ha dichiarato di voler superare lo strumento.
Il problema è che nessuno è stato ancora in grado di proporre qualcosa di alternativo che non sia il caos che oggi caratterizza le OSP a Roma.
La verità è che i PMO non sono altro che un modo più sofisticato ed ordinato di rilasciare OSP applicando tutte le normative esistenti, mantenendo una visione d’insieme su ogni luogo. Non è vero che essi limitino lo spazio concedibile, come affermano molti esercenti, anche perché le norme che si applicano sono quelle esistenti e non altre aggiuntive.
D’altronde, a prescindere da come si voglia chiamare lo strumento, vorremmo capire come si può pensare di assegnare lo spazio pubblico di piazza Navona o di Campo de’ Fiori senza fare una pianificazione d’insieme che assicuri il rispetto di tutte le norme, un’equilibrata concorrenza tra esercenti e il giusto decoro dei luoghi.
La cosa certa è che non si può continuare ad avere una normativa in materia OSP ampiamente disattesa dalle stesse istituzioni capitoline, con il caos che regna indisturbato e i giudici amministrativi che non possono che continuare a censurare il Campidoglio.
L’assessore Lucarelli e i suoi uffici dovrebbero essere al lavoro per predisporre una nuova normativa che regoli le OSP, soprattutto per superare la parentesi COVID19 ma non solo.
Vedremo quello che verrà proposto ma i tempi sono stretti e le preoccupazioni per un pessimo risultato sono ben fondate, stante la totale chiusura dell’assessore a qualsiasi confronto con associazioni e cittadini che da anni affrontano il tema OSP, con competenze ormai consolidate (che l’assessore non può certo vantare).