Il terremoto del centro Italia visto con occhi diversi rispetto alle telecamere alla ricerca dello scoop. Il romanzo di Franco Faggiani racconta le nuove quotidianità nate dopo il sisma del 2016

Oggi parliamo del nuovo romanzo di Franco Faggiani “Tutto il cielo che serve (Fazi editore).

Questo libro descrive, con una narrazione lineare, quello che avvenne il 24 agosto 2016 e nei mesi immediatamente successivi, ovvero il terremoto del centro Italia. Ne parliamo nella veste di lettori semplici che, come molte persone, hanno vissuto quegli attimi tremendi con il distacco della vita cittadina, della metropoli, con il distacco che veniva meno solo quando l’incubo del terremoto si affacciava nella vita della città per brevissimi secondi, giusto il tempo di farci capire che in qualche luogo, lontano da noi, qualcosa di tremendo stava accadendo. “Tutto il cielo che serve” vuole renderci in parte consapevoli che quella storia non è finita.

 

 

Il 24 agosto 2016, infatti, vi fu una violenta scossa lungo l’Appennino centrale che distrusse intere cittadine e frazioni limitrofe. Un terremoto che portò via una parte di storia italiana e fece 330 vittime.

 

Franco Faggiani non ritrae né un diario di quelle settimane e di quei mesi, né una fotografia della tragedia che pure tanto è stata mostrata dai programmi televisivi e dalle testate giornalistiche. Difatti, Faggiani prende nettamente le distanze da quello che comunemente chiamiamo “il circo mediatico”. Il suo intento non apertamente dichiarato, ma che trapela dalla lettura del romanzo, è il tratteggiare un concetto di quotidianità: prima del terremoto, durante il terremoto, dopo il terremoto e durante la ricostruzione. Questi ultimi due passaggi, anche se simili tra di loro, non inglobano però gli stessi concetti, perché il dopo terremoto non equivale a quella che istituzionalmente e civilmente consideriamo ricostruzione.

 

Franco Faggiani

 

Nel romanzo, la protagonista, la geologa e capo squadra dei vigili del fuoco Francesca Capodiferro si troverà per un fortuito, o sfortunato, caso della vita ad analizzare la conformazione geologica dell’appennino che divide Marche, Lazio e Abruzzo nelle ore immediatamente antecedenti la scossa del 24 agosto 2016. Quello che accadde quella notte è impresso nella memoria di tutti.

 

Ed è qui che entra allora in scena la scrittura di Faggiani. L’autore, infatti, non vuole ripercorrere passo passo quello che avvenne, ma vuole portare alla luce, grazie alla forza della letteratura, tutto quel mondo di vita e di vite di montagna che il circo mediatico ha, per forza di cose, tenuto sottaciuto. Si innesta così un racconto dei quattro tipi di quotidianità del terremoto.

Il primo riguarda una vita di routine spazzata via in una notte, attività commerciali fallite, borghi distrutti, piazze deserte, case diventate macerie.

La seconda riguarda la quotidianità dei soccorritori, la vita da campo, gli orari massacranti dove solo la speranza di trovare persone vive scandisce il trascorrere delle ore.

Poi esiste una terza quotidianità, drammatica, anzi molto delicata, ovvero la violazione della privacy delle persone. Faggiani riesce a trasmettere il senso di imbarazzo, di pudore nel dover entrare nelle case altrui, nel violare quelle mura che per una famiglia costituiscono tutto il proprio mondo. In questa violazione vi sono due momenti nettamente distinti, da una parte la gioia nel tirar fuori dalle macerie elettrodomestici funzionanti, giocattoli non rovinati, vestiti ancora buoni da poter essere indossati, foto ricordo e molto altro, uno scavo che possa permettere alle persone di riappropriarsi di quei pochi frammenti rimasti della loro vita, dall’altra però vi è anche la parte più dolorosa, ovvero l’abbattimento delle case pericolanti, dei monconi rimasti in piedi. Il venir giù di quei muri significava per le famiglie il segno tangibile della fine di tutto.

 

Foto da avvenire.it

 

Dopo queste fasi si apre un’altra finestra, il ritorno alla vita normale dei soccorritori. Come può Francesca Capodiferro tornare a Roma e dedicarsi alle sue ricerche sapendo che comunque il lavoro dei soccorritori non si può concludere con la fine dei soccorsi? In attesa della ricostruzione (conoscendo i tempi lunghi e assurdi del nostro Paese), chi si prenderà cura di tutte quelle persone che sono rimaste da sole?

Infatti, il terremoto del centro Italia non è stato solo questo. Faggiani ci racconta di superstiti che non hanno voluto abbandonare la propria terra, persone che all’improvviso hanno iniziato a vivere nelle montagne, nei borghi semi distrutti, nei ricoveri di emergenza che si sono costruiti da soli, nelle stalle, nelle baracche, una vita contadina di montagna che non ha paura della natura nonostante questa gli abbia tolto il sonno e la speranza. Così si apre anche la fase in cui i soccorritori, nonostante alcune missioni ultimate, decidono di tornare nei luoghi del terremoto per aiutare tutte queste persone a prepararsi all’inverno. Una vera macchina umanitaria si mette in moto, anche qui con dedizione e sacrificio, fino al 30 ottobre 2016, quando una nuova impressionante scossa distrugge tutto quello che era sopravvissuto ad agosto, un giorno però dove “per grazia divina non morì nessuno”. Gli aiuti devono interrompersi, si deve nuovamente scavare, cercare e abbattere.

 

Dopo questo colpo di grazia l’autore scrive delle pagine che dovrebbero far riflettere. La natura non si ritorce contro l’uomo, non avrebbe senso nel farlo, vuole solamente riappropriarsi di alcuni elementi che ha perso, vuole riappropriarsi del controllo del suo terreno, come l’esempio di un fiumiciattolo prosciugato negli anni in cui la faglia aperta è stata in grado di far sgorgare un fiume rigoglioso. E mentre la natura torna alle sue forme, proiettando all’esterno la forza per fare tutto ciò, l’uomo continua a portare avanti un insolito processo di desertificazione dei luoghi e di occupazione di altri territori. Mentre si è pianto su Norcia e sul crollo di una parte della basilica di San Benedetto, nessuno si è mai davvero preoccupato di interi paesi scomparsi, di borghi fantasmi, di un Appennino popolato da case vuote, si preferisce costruire altrove, in sicurezza, senza salvaguardare la storia dei paesi e del loro rapporto viscerale proprio con quelle montagne che reclamavano maggiore attenzione e cura. Un rapporto che non era solo feste e sagre di paese come, invece, molte persone credevano.

 

Questo spaccato di vita non potrebbe certo venir fuori dalle solite interviste rilasciate in tv, dalle telecamere che andavano spasmodicamente alla ricerca della tragedia. Faggiani in questo modo ha cercato di ridare dignità a molte persone lasciate ai margini, persone che ancora oggi resistono vedendo nella montagna e nella natura il loro rifugio, il loro habitat tranquillo dove le emozioni possono essere scalfite ma non minate nel profondo. Ma lo ha fatto dando voce ai soccorritori, ai vigili del fuoco in primis, lavoratori instancabili che non conoscono i ritmi naturali della fame o del sonno, persone che spinte dalla loro grande passione e senso del dovere hanno tirato fuori dalle macerie 215 persone vive. Uomini e donne che non accettano fino in fondo il concetto di destino, di resa.

A tutti loro è dedicato il libro di Franco Faggiani, a loro è dedicata la serenità che alla fine cerca la protagonista, a loro, come a chi resiste, è dedicato “tutto il cielo che serve per essere felici”.

Buona lettura!

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